“Is John Dead” una dolce dedica a John Lennon e “Our last blues”: “Se tu vuoi fluire devi camminare fiero sulla tua strada.”
Intervista di Carmela De Rose.
Iniziamo dalla tua nascita come artista, ci piacerebbe conoscere i tuoi primissimi approcci alla musica e la strada che hai deciso di percorrere dopo magari una serie di vicoli ciechi?
“Sono nato in una famiglia in cui già si respirava la musica, perché i miei genitori c’erano legati. Mio padre suonava in un gruppo, mentre mia madre aveva fatto tre anni di conservatorio e suo fratello mio zio, è stato un musicista negli anni 80. Sin da bambino ho mostrato interesse verso gli strumenti e fortunatamente i miei genitori in questo mi hanno sempre incitato. Avevo un pianoforte in casa e ricordo che ero piccolissimo quando ho iniziato a premere i primi tasti. Pian piano i miei genitori mi hanno insegnato qualcosina, fin quando all’età di 7 anni, mi hanno iscritto ad un corso di chitarra. Nonostante il mio primissimo approccio era stato il pianoforte. Questo corso non mi piacque, perché l’insegnante era molto tecnico e con la visione che posso dire oggi da adulto, era poco empatico. Secondo me, ad un bambino bisogna far conoscere tutte le sfaccettature di quel determinato strumento prima di insegnare la tecnica. Devi farmi un po’ sognare così in modo che la lezione non diventi noiosa. Nel contempo continuavo a studiare il piano. Un giorno quell’insegnante, quando avevo deciso di non seguire più il suo corso, chiamò mio padre dicendogli che io non ero portato per suonare la chitarra. Errore, perché io amo suonare la chitarra. Ho iniziato a comporre le mie prime melodie quando avevo 11 anni, in quanto era il mio periodo adolescenziale, mi sono lasciato ispirare dai primi amori, le prime cotte. Io ho iniziato a comporre per le ragazze con le quali ho avuto un piccolo legame. Questo per me era come una sorta di magia perché nessuno ti insegna come comporre un po’ meglio rispetto a come facevi prima. Certo puoi apprendere qualcuno che ti insegna la tecnica musicale, gli accordi e tutti gli altri aspetti possibili, ma il processo interiore, quello creativo, nessuno penso che può insegnarlo o apprenderlo, è un qualcosa che hai dentro. Qualcosa che è solo tuo ed è unico. L’avvicinamento alla sfera emozionale mi ha avvicinato a questa cosa che evidentemente stava già all’interno di me, ed è riuscita a venir fuori solo successivamente.”
Hai mai ripreso quei testi o quelle melodie che avevi scritto all’epoca?
“Su questo posso dirti due cose; la prima è che due anni fa feci un casting per una etichetta di Trento. All’epoca, gli avevo illustrato tutto il mio progetto in inglese, e quel giorno mi hanno detto che ero un artista interessante ma che in Italia avrei funzionato ben poco, visto che le mie canzoni sono scritte tutte in inglese. In quel periodo io stavo prestando la voce per un progetto italiano, e ricordo che presi proprio tre canzoni che scrissi quando ero ragazzino. Al di là che poi non se ne fece niente, per me è stato emozionante ugualmente. Naturalmente, con gli anni ho cambiato il modo di comporre, prima era come se mi facessi guidare da un Federico che osservava dall’esterno le cose che mi accadevano. La chicca è stata quando la mia scuola è stata invitata nel programma televisivo di Red Ronnie. Con il gruppo abbiamo suonato una cover dei Nirvana ma alla fine quando Red ci ha detto che non potevamo cantare cover per tutta la vita, una mia amica si alzò dal pubblico e gli rispose che io invece scrivevo canzoni. Alla fine Red mi ha fatto suonare un mio inedito. Non vedo l’ora oggi di poter contattare Red Ronnie per fargli ascoltare la mia musica, e dirgli che 20 anni fa ho cantato nel suo programma, e che ancora oggi sono qui che canto. Dopo quell’evento essendo che non erano tempi social, a Parma ci chiamavano nei locali a fare le serate. È stato un bel periodo. Quello per me è stata una bella palestra per reggere i concerti e stare su un palco. Quell’evento è stato anche la scintilla per ricominciare a suonare la chitarra. Anche oggi quando compongo, se la canzone non evolve al piano, passo subito alla chitarra. Penso che, per chi inventa musica se riesce a suonare degli strumenti è sicuramente un valore aggiunto.”
Raccontaci se successivamente hai deciso di intraprendere di nuovo un corso per studiare la musica?
“Ho provato a studiare all’università, ma ho capito dopo un anno che non era la mia strada. Per cui ho deciso di iscrivermi a Milano alla Nam e al Cpm per studiare rispettivamente canto e chitarra. Ho studiato li per 3 anni, per conoscere e approfondire gli aspetti vocali della mia voce ma anche per imparare a suonare bene la chitarra. Ma anche oggi non smetto da autodidatta di studiare, perché penso che la musica e lo strumento siano un continuo imparare. Perché se non si coltiva il talento si inaridisce. Il talento è come un pezzo di terra che ogni giorno bisogna annaffiare.”
Che tipo di musica ascolti per costruire il tuo background musicale, quali sono i cantanti da cui trai ispirazione?
“Il mio primissimo approccio all’ascolto musicale è avvenuto grazie ai miei genitori che ascoltavano Baglioni, Venditti, Battisti, Bennato, Vasco Rossi, Zucchero. Grazie a mio padre, devo dire che ho iniziato anche ad apprezzare il Blues. Alle elementari ricordo che il primo cd che ho comprato è stato “Bad” di Michael Jackson. Mi sono appassionato molto a lui, poi presi Thriller e tutti gli altri. I miei gruppi preferiti di oggi sono Oasis, Doors, Beatles che mi hanno insegnato tantissimo. Quando ti piace una band, la divori, e inizi a chiederti altre curiosità, magari come sono arrivati ad una determinata canzone, suono o melodia. Tra gli italiani mi piace anche Gianluca Grignani, perché penso che all’epoca ha portato in Italia una musica che non c’era. Sono molto affezionato all’album “La fabbrica di plastica”, mi sono piaciuti anche i Negrita. Non ascolto molto musica moderna italiana, posso dire che mi piace la voce di Annalisa ma ora è diventata troppo commerciale.”
Affondiamoci nel Federico (Winston Labell) di oggi. Parliamo dell’attuale musica che hai scritto e dei tuoi ultimi inediti e anche delle tematiche che affronti. Facci un riepilogo di quelli passati e presentaci anche gli ultimi due singoli.
“Dopo diversi anni che ho sempre cantato con un gruppo, ho deciso di avviare il mio progetto come solista e con il nome d’arte di Winston Labell, ho sempre scritto e prima ero anche uscito con qualche demo e un Ep. Ora finalmente esco con il mio nuovo progetto che è figlio di un album che avevo composto prima del covid e che non avevo avuto modo di poter lanciare. Ora sto cercando di far uscire una alla volta le mie canzoni, quelle che secondo me sono le più belle. La prima canzone di questo progetto si chiama “Is John Dead?”, ed è una canzone che iniziai a comporre quando avevo 19 anni. Ha una sonorità britpop, stile Oasis che mi ricorda tanto quel periodo ormai lontano da oggi. Ci tenevo ad iniziare il mio nuovo progetto da un po’ lontano, perché la mia idea è di trasportare le persone che mi ascoltano in un viaggio sonoro che attraversa un po’ tutto il mio passato musicale. C’è un continuo ping pong da qualcosa che viene dal passato nel presente. Questo aspetto per me a livello emozionale è molto forte, ci sono ancora oggi dentro mentre continuo a comporre. Questa canzone è una tenue dedica a John Lennon, perché sai è una canzone in cui si parla di sentimenti ma pensando a quei sentimenti lo pensavo perché anche Lennon le ha vissute. Il concetto della canzone è: “Quando qualcuno lascia un’impronta così forte nella società attuale possiamo veramente dire che è morto?”. Perché quando vedo tante cose, io ripenso sempre a lui. Lui era un cantante con un grandissimo talento però si era anche schierato. Ha fatto delle cose che nessuno avrebbe fatto, che magari non sono state neanche capite, ma comunque ha lasciato un segno. E quel segno che ha lasciato è ancora dentro la nostra attuale società. E sono gesti di persone grandi, penso anche a Gandhi, Martin Luther King, ci sono delle persone che hanno lasciato una piega nel mondo. Sono gesti immensi, di persone veramente illuminate. E quindi, mi piaceva l’idea di iniziare il mio progetto da umile collega insieme a John Lennon. Tutto il mio progetto verrà pubblicato su spotify e youtube.”
Per quanto riguarda invece l’ultimo singolo uscito lo scorso 24 novembre?
“Si, il 24 novembre è uscito il secondo singolo che si chiama “Our last blues”. Questo è un pezzo che ha una matrice di suono diversa anche se poi il ritornello, torna in quello che può essere definito un rock-pop. Questo ha una sonorità un po’ blues, perché racconta un po’ quel periodo in cui l’ascoltavo e ho capito che il blues per piacerti lo devi avere un po’ dentro. Questo genere non lo puoi ascoltare come sottofondo, ma quando l’ascolti ci devi vibrare un po’ insieme. Sono malinconiche, allo stesso tempo c’è molta forza, e anche un po’ il canta che ti passa. C’è tristezza ma quella voglia di farcela. Quel qualcosa che ti fa male ma tu la rendi benzina, per poter cantare.”
Il messaggio della canzone invece?
“L’ho scritta pensando all’amore adolescenziale. Quando le parole e la razionalità non bastano a spiegare quello che ti succede interiormente. Nonostante poni il paravento dell’orgoglio. Quando ti senti attaccato e ti senti puro, pensi che l’orgoglio ti può salvare ma ti rendi conto che è solo un appiglio che in realtà viene spazzato via e si rimane nudi davanti alla verità. E sono processi molto dolorosi per l’anima ma che secondo me ci servono a crescere e ad affermarci come individui. Quindi pensavo a questa conversazione tra ragazzo e ragazza e c’è lui che sente che la loro relazione sta per finire e per ultimo desiderio chiede di rimanere abbracciati mentre suona il suo ultimo blues. E la ragazza gli risponde che: “se vuoi amarmi lo devi dimostrare perché io sono qui per te.” È quello il punto di tutta la canzone, perché il ragazzo fino a prima non l’aveva capito che lei lo amava e che quello che provava anche lui stesso era amore. Per quel ragazzo era la normalità. Ma poi capisce che è arrivato l’amore. Il protagonista vive questa canzone mentre sviluppa una certa consapevolezza, e alla fine ammette che è veramente preso da questa ragazza. Questo per lui è stato uno step anormale, cioè di ammettere questa verità, perché non era mai andato al pari con il suo cuore sotto quel punto di vista. Non so se l’ho vissuta o se comunque avendola vissuta similmente poi ho scritto questo testo. Il mio scopo era esprimere questa sensazione, questo passaggio di vita.”
Ci vorresti dire una frase di questa canzone che racchiude un po’ il nocciolo?
“Se tu vuoi fluire devi camminare fiero sulla tua strada. Questo volevo dire che non devi camminare a bordo strada o zoppo, ma devi essere fiero nella tua vita, devi avere quella serenità senza peccare di arroganza o presunzione, ma devi cercare di camminare sicuro sulla tua via. Devi mostrare l’amore che hai dentro, la gioia che hai di vivere. Quindi, se io penso ad una vita felice, penso ad una persona che cammina senza paura sulla sua strada. Un’altra frase è “Mi piace il modo in cui sei”, è come dire un ti amo ma ancora non ha i mezzi emotivi per dirlo, e quindi quando canto è come se mi liberassi.”
Una piccola curiosità, cosa desideri per il tuo progetto e cosa ti aspetti dal futuro?
“Ho vissuto dai 19 anni a oggi sempre con la musica in testa, quindi ero e sono fatto per essere un araldo della musica. Perché quando si tratta di registrare canzoni vado in studio e le registro con il massimo impegno ed entusiasmo e con la massima gioia. Devo fare dei concerti? Stare lontano da casa? Per me è tutto fantastico. Tutto ciò che ha riguardato la musica, ho sempre saputo che era la mia via. Questa è la vita che ho scelto perché è la vita che amo, per questo motivo sono sempre stato sicuro che non ci sarebbero stati dei giorni bui. Perché è come quando sei innamorato, la passione per qualcosa ti tiene adeso a tutto questo e non puoi mentire. Quindi ti dico che è stato così fino al covid, poi ammetto che ho avuto un crollo emotivo una specie di blocco che piano piano ho dovuto sbloccare. Ho fatto un percorso che mi ha fatto conoscere il mio essere e oggi ho maggiore consapevolezza. Ho deciso di far partire il mio progetto, perché ho provato tutte le vie canoniche, suonando con gruppi e facendo casting ed essendo che vedevo che i tempi si allungavano terribilmente per motivi vari, mi sono lanciato da solo. Dopo anni di esperienza ho capito come auto-produrre le mie canzoni, infatti ho anche investito tanto adibendo uno studio tutto per me. Le canzoni che sto lanciando, fanno tutte parte di un periodo ben definito della mia vita. Lo scopo di queste canzoni è esprimere e andare oltre me stesso sperando che, come mi emoziono io, possano emozionarsi le persone che le ascolteranno. Io penso che il ruolo di un artista non è il successo ma donare un brivido, una vibrazione a qualcuno, colorare la vita delle persone. Il fatto che poi l’arte sia diventata speculazione, arricchimento queste sono situazioni che sono indipendenti dall’arte. Penso che, chi ha passione non inizia a suonare solo per i soldi, potrebbe anche farlo ma secondo il mio modesto parere non può essere definito artista.”
Cosa pensi dell’intelligenza artificiale, hai timore che possa rovinare la creatività umana?
“Io devo dire che sono stato molto felice di poter ascoltare delle canzoni, cantate con l’intelligenza artificiale ma usando la voce di un altro cantante. Penso che a livello di emozione per chi ama le voci ormai defunte sia una cosa bellissima, poter riascoltare tipo un John Lennon che continua a cantare la sua musica. Come penso che sia super bello, poter un giorno vedere dei nuovi dischi o nuove canzoni che escono. Ho ascoltato anche delle canzoni generate dalla AI, utilizzando un timbro vocale di un cantante che non c’è più. La mia domanda è: quando accadrà che le case discografiche usciranno con il nuovo album di Michael Jackson? Penso che aprire questo tipo di possibilità sarà un nuovo scorcio di intendere la musica. Il punto è che se l’AI può fare qualcosa e diciamo può riportare in vita le voci di personaggi che non ci sono più o anche nuovi artisti che dicono che è meglio produrre la musica con l’AI, penso che su questo ci dovrebbe essere totale libertà.”
Scusami questa per te sarebbe arte? Perché andare a violentare le voci del passato? Io penso che questo clonerà l’arte, infatti ho inventato un nuovo neologismo che riporterò nel mio libro che sarà pubblicato da Rubbettino. Penso che l’intelligenza artificiale dovrebbe essere chiamata CLONARTE.
“Purtroppo l’arte è diventata business e quindi sanno che questa cosa sicuramente farà molte vendite. Il mio discorso andava a finire così: cosa farà l’uomo per tornare davanti agli uomini e dire questa è arte umana e non arte rifatta o come dici tu non è una CLONARTE? Questa è la domanda: come si svilupperà l’arte per non distinguere cosa sia identificabile con l’intelligenza artificiale? Come diventerà il suono? Cosa se ne farà? Perché il punto finale è: l’AI per quanto può essere brava e fantastica farà sempre qualcosa di non umano.”
Mi piace chiudere ogni intervista con una domanda un po’ filosofica, cos’è per te la felicità?
“Potrei dire tante frasi poetiche a riguardo, da persona che ama scrivere, ho smesso di scrivere poesie perché penso che questa sia un’epoca in cui c’è più bisogno di concretezza, di verità spicciola. Posso dirti che, per me la felicità è essere sereni interiormente e fare qualcosa che ami, perché questo ti da il modo di tirar fuori i tuoi lati migliori, l’amore per te stesso e l’amore per gli altri. Se io penso a me felice, immagino questa sensazione interiore e possibilmente davanti il mare, perché io amo il mare.”