PUPI AVATI , INTERVISTA DI IULIANA IERUGAN

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Iuliana: E’ un grande onore per me oggi poter intervistare un maestro del nostro cinema che ha raccontato l’Italia del presente e del passato con grande intensità. E’ con emozione che vorrei chiedere al Maestro Pupi Avati di raccontarci il film tratto dal memoir di Giuseppe Sgarbi “Lei mi parla ancora”; con uno straordinario Renato Pozzetto, Stefania Sandrelli e un ottimo cast.
Pupi Avati: Il film più che tratto dal romanzo è in realtà il racconto di come è nato quel romanzo, di come nella situazione dolorosissima in cui si è venuta a trovare, questo farmacista di Rho Ferrarese ormai novantenne. Dopo 65 anni di matrimonio e aver perso la compagna della sua vita, trovandosi solo la figlia ha avuto questa idea geniale: di suggerire al padre di scrivere un romanzo, con i suoi ricordi e scrivere di lei. Per scrivere di lei a una persona che non l’aveva mai fatto l’ha affiancato da un ghostwriter, da un giovane scrittore ambizioso che voleva veder pubblicato il suo romanzo; si è prestato a questo tipo di accordo. E’ evidente che le età diverse, del vecchio farmacista interpretato, come ha detto giustamente lei e come dicono tutti, interpretato magistralmente da Renato Pozzetto, il giovane scrittore interpretato altrettanto bene da Fabrizio Gifuni, sono età che rappresentano due Italie diverse, due visioni del mondo diverse, due concezioni anche dei rapporti familiari, matrimoniali in questo caso molto diverse. Il vecchio farmacista è stato con la stessa donna 65 anni, questo ci è stato tre anni e quindi hanno una visione dei rapporti che coincide con i rapporti dell’oggi. Io mi sono riconosciuto in questa storia perché avendo io ormai un’età, non ho novant’anni ma ne ho più di ottanta, ho ottantadue anni e quando l’ho letta ne avevo ottanta. Sono sposato a mia volta con una persona da più di cinquant’anni, e quindi ho pensato che cosa poteva comportare l’assenza improvvisa di una persona nella tua vita con la quale hai condiviso tutto, con la quale sei stato malissimo e benissimo, perché il matrimonio è un insieme di cose brutte e di cose belle, molto difficile e molto faticoso però vale la pena di essere vissuto. Questa è la lezione del film, dovrebbe essere questa, prima di arrendersi immediatamente come fanno i più oggi per motivi superficiali, si rivolgono improvvisamente a un’altra per trovare una persona peggio di quella di prima. Penso che raccontare una storia di questo genere apparentemente così anacronistica sia invece una cosa importante. Tutti i segnali che mi arrivano che sono infiniti e sono bellissimi devo dire che mi confortano, vogliono dire che non abbiamo sbagliato a raccontare questa storia.

Iuliana: Abbiamo bisogno di amore e di credere di più nelle storie. Parlando dei grandissimi attori che ha diretto, vorrei un suo ricordo di Tognazzi, com’era come persona?
Pupi Avati: A Tognazzi devo praticamente la mia vita professionale, perché se non lo avessi incontrato a un certo punto della mia vita, dopo aver fatto i miei primi due film che erano stati dei disastri totali a Bologna con un gruppo di giovani sessantottini, in una condizione completamente alternativa, facendo perdere tantissimi soldi a un industriale bolognese. La provincia allora era spietata, soprattutto volevano tutti che avessi insuccesso, la provincia italiana è cattivissima. Per questi due insuccessi hanno goduto tutti e sono dovuto scappare da Bologna a Roma con mia moglie e il bambino, e sono stato quattro anni disoccupato. Fortunatamente ho incontrato Ugo Tognazzi, che era una star, che aveva fatto due film quell’anno di grandissimo successo “Amici miei” e “Romanzo popolare”, ed è venuto a fare il film con me gratis. E’ stato un miracolo, ma nella mia vita ogni tanto qualche miracolo c’è.

Iuliana: Ci racconta i suoi inizi con la musica e l’incontro con Lucio Dalla
Pupi Avati: Io ho patito molto Lucio che suonava troppo meglio di me anche se poi siamo diventati amici. Il fatto di non saper suonare bene come lui mi faceva soffrire molto e a un certo punto ho deciso di smettere di suonare. E’ ancora adesso un dolore, ho accanto a me il mio clarinetto che ogni tanto suono e mi rendo conto che non sarei mai diventato un grande musicista.

Iuliana: Lo suona da solo o anche con qualche amico?
Pupi: Suono da solo con tutte le finestre chiuse col cerotto.

Iuliana: Ha diretto anche la straordinaria Mariangela Melato..Pupi: Entrata nel nostro cinema due volte;  faceva la vetrinista a Milano alla Rinascente e frequentava la scuola del Piccolo di Milano. Era venuta al posto di un’altra. Era una cosa molto imbarazzante, non era mai capitato che un’attrice scelta in un provino mandasse un’altra, non si fa proprio. Mi ha fatto molta tenerezza la sua cocciutaggine, la sua insistenza, il suo carattere, la sua determinazione e le ho fatto fare questo film. Mi sono accorto subito che era qualcosa di assolutamente speciale. Undici anni dopo, nel 1980, abbiamo fatto un film che si chiamava “Aiutami a sognare” che andò bene, dove lei ballava, cantava ed era veramente straordinaria.
Pupi Avati: Una curiosità invece tecnica sul suo modo di lavorare con gli attori. Ci sono diverse scuole di pensiero sul fatto di ripetere una scena tante volte, come raccontava De Niro, oppure diversamente.Pupi: Io penso che l’attore dia il meglio di sé all’inizio, tanto è vero che se tu non fai le prove è quasi meglio, perché dopo diventa un po’ automatico. Gli attori americani sono abituati a darti il meglio di loro dopo due o tre ciak, e da li non si muoverà più niente. L’attore americano è molto rassicurato da come la sto facendo e la farà sempre uguale, mentre gli attori europei e soprattutto italiani vogliono sempre rischiare e fare qualcosa di diverso. tu dici “Bella, bravissimo!” e loro “Fammene fare un’altra, sono alla continua ricerca di meravigliare, di stupire non solo il regista ma anche la troupe. Sono professionalmente molto inaffidabili ma a livello di creatività molto interessanti.

Iuliana: Tornando agli attori americani ha diretto Sharon Stone. Quale è il suo ricordo?
Pupi Avati: Era una persona molto professionale, che faceva esattamente quello che doveva fare, ma niente di più di quello che doveva fare, come un contratto con un commercialista, tu vai li e lei fa quella cosa, la fa benissimo, al meglio di come la sa fare, ma non c’é in più una domanda “Ma tu sei sposato, hai dei figli, hai dei nipoti, ti piace il mare o ti piace la montagna?”, questa cosa non c’é. Io non so niente di Sharon Stone in più rispetto al personaggio che ha interpretato. Finito di recitare, entra nella roulotte, mangia il cestino stando chiusa, va via poi con le guardie del corpo. A un elettrodomestico non ti puoi confidare che ti sei innamorato di qualcuno. Io con gli attori ho invece un rapporto molto umano, non faccio i provini, io conosco le persone, cerco di capire come sono, se sono persone che mi incuriosisco o no, se sono le persone con le quali mi piacerebbe stare o no. Questa é la cosa che mi seduce. 

Iuliana: Ha fatto diventare attrice anche la grandissima Katia Ricciarelli, dopo l’esperienza con lei l’abbiamo vista anche in alcune fiction. come le é venuta questa idea?
Pupi Avati: E’ venuta perché eravamo ubriachi, avevamo bevuto molto vino, io mio fratello Antonio e Maurizio Nichetti in una trattoria di San Giovanni, dovevamo scegliere un’attrice per fare la madre di Marcorè, avevamo tanti nomi di attrici già conosciute, non era un’idea come Pozzetto. Bevendo molto vino, la fantasia si moltiplica. A un certo punto dissi: Katia Ricciarelli, perché non proviamo con Katia Ricciarelli? e mi ricordo che mio fratello e Maurizio Nichetti furono subito entusiasti. Ci abbiamo provato ed è andata bene come sta andando bene con Pozzetto. La bellezza di questa professione è che non sei mai sicuro, è come giocare tu non sai se vinci o perdi. E’ questo aspetto che rende questo mestiere anche alla mia età ancora affascinante. Io non sono sicuro di niente, se comincio un film domani, spero che vada bene ma non ne sono sicuro.

Iuliana: La prima volta che si è detto “Vorrei fare il regista cinematografico”, c’è stato un momento particolare?
Pupi Avati: Quando ho visto il film “8 e 1/2” di Federico Fellini, quello è stato il momento particolare, facevo il rappresentante di surgelati di bastoncini di pesce. Non sapevo niente della professione del regista, avevo visto tanti film, vedendo questo film mi sono innamorato della figura del regista, e mi sono detto “Voglio diventare Federico Fellini”, fare Federico Fellini di mestiere.

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